Gambadilegno fumava oppio.

IMG-20140425-WA0006

Oggi cercavo una palestra, tra le vie della città, ma non le vie belle, quelle che trasudano polvere e azulejos. Quelle della città moderna. Camminavo lungo la strada e infine trovai la porta con su affisso il nome della palestra. Devo dire che mi parse un po’ strano, era un condominio, con campanelli, cassetta della posta e tutto. Ma spinsi la porta ed entrai. Un atrio bianco con una luce fredda. Di fronte a me una strana scala stretta e a lato due porte verdi. Chiuse. Presi la scala e al primo piano trovai due porte chiuse e verdi. Un pianerottolo spoglio e bianco. Salì un altro piano. Stessa storia. Continuai a salire ma iniziavo a sentire un disagevole senso di claustrofobia, le scale sembravano come restringersi. Ormai ero al quinto piano, stesse porte, scale, stesso scenario. Stavo sudando freddo. Mi affacciai alla tromba delle scale, non intravedevo la fine. Che cazzo succede, pensai allarmato. In preda la panico mi lanciai come un razzo giù per le scale. Feci i gradini a due a due più veloce che potevo, ma sembrava che le scale non finissero mai, imprigionato in una trappola di intonaco bianco e verde metallo. Continuai a scendere ancora più rapidamente, senza fermarmi a riprendere il fiato. Inciampai, rotolai per le scale sbattendo ripetutamente la testa, atterrai. Mentre svenivo vidi la porta alla mia destra aprirsi e uscirne un macchia scura.

Mi risvegliai e pensai, bene sono cieco. Sentivo sotto di me il freddo della terra nuda e percepivo di essere circondato da grandi alberi. Poi dalle tenebre emerse una luce fioca. Una persona, con una lampada a gas nelle mani. Era il buio più buio che avessi mai visto.

La persona si avvicinò lentamente, portava una giubba lacera e aveva un volto smunto e magro, incoronato da una barba scura. Nelle mani la lampada e, sopratutto, nell’altra un fucile. Ma non ebbi paura, mi ricordai di certe storie di persone ammazzate nei boschi, ma nonostante questo ero tranquillo. Sempre meglio che morire di stenti nella palazzina con le porte verdi, cristo.

Rimasi a terra, l’uomo si accostò a me e mi osservò a lungo rapito. Quindi portò le mani alla bocca e fece un fischio lungo e prolungato. Da quello che era un immenso nero iniziarono a provenire suoni ovattati di frasche che si spezzano, quindi nel cerchio di luce apparve il muso di animale. Una lucertola. Una lucertola molto grande. Fece guizzare la lingua biforcuta nella mia direzione. Quindi voltò il muso verso l’uomo. Che iniziò ad accarezzarla lentamente. Poi infastidito disse “ Jà chega!” e scostò il muso dell’animale che invece continuava a strusciare la testona sul braccio dell’uomo. Quello non badandogli rivolse il fucile verso di me e minaccioso mi chiese: Chi eres tu? Cane! Nunca te vedi e nunca vedi roupa como achella alì. Foda-se! Tu tieni que ser com certezza um perigolo. Habla filho da puta! Quem eres?

Per quale motivo quest’uomo parla un miscuglio tra italiano, spagnolo e portoghese?

Sembrava sempre di più uno dei quei bei sogni del cazzo che poi la mattina ti svegli stremato come se fossi appena sopravvissuto ad una avventura degna di Indiana Jones.

Scoppiai a ridere.

L’uomo non sembrò molto entusiasta del mio improvviso entusiasmo. Fece una smorfia e mi colpì con il calcio del fucile in testa.

…Male sogno fucile.. è che la storia stavolta si fa complicata… gambadilegno fuma oppio e topolino tira di cocca-cola foglie buio porte porte verdi….Male alla testa, tepore, camino, luce, dolore, bagnato. Poco a poco ripresi conoscenza. Di nuovo pensai, qui ne va della salute della mia scatola cranica. Vidi il camino di fronte a me. Il calore. La mano corse automaticamente alla testa. Stoffa. Una benda.

Mi alzai. Ero su un vecchio sofà, con delle coperte. Una casa. Una casa carina. Una vecchia villa sembrerebbe. Il fuoco scoppietta amabilmente, quasi brace. La luce morbido accarezza i mobili. La casa sembra addormentata. Dalle ombre emerse una figura. Una ragazza, capelli scuri legati in cima, addosso una veste bianca, come per dormire. Mi guardò con curiosità. Aveva un viso bello, ma non delicato. Uno sguardo forte. Si accostò al divano. Il vecchio ti ha trovato nel bosco, disse. Sai, tutti noi abbiamo paura del bosco e di cosa proviene da esso, per questo ti ha colpito. Si sedette sul divano, accanto alle mie gambe. Mi guardava negli occhi. Occhi scuri e profondi, ciocche ribelli le scendevano sul volto arricciandosi.

Voleva ammazzarti lì per lì, ma ha preferito sentire il parere di mia madre. È lei che pensa a queste cose. Quindi ti ha lasciato qua.

Si alzò e fece come per andarsene, poi si fermò, aveva dimenticato qualcosa. Si voltò e disse sorridendo, tranquillo mi madre non lascerà che ti uccidano. Sorrisi anche io. Poi scivolò di nuovo tra le ombre della casa.

Guardai di nuovo il camino, che ci sarà da sorridere non lo so, pensai, mi vogliono morto. Quindi scivolai in un sonno inquieto.

Mi svegliai sentendo gridare in portoghese. Aprii gli occhi di soprassalto giusto in tempo per vedere un pezzo sufficientemente grande di legno volare sopra la mia testa. Richiusi gli occhi. Li riaprii. Ora un rumore di vetri in frantumi mi fece voltare verso la mia sinistra, dalle scale scese una pioggia di frammenti di vetro, insieme ad una rossa matassa pelosa rotolante. Saltai dal divano e afferrai la prima cosa che trovai. Il soffietto accanto al camino. La matassa si riscosse. Un muso di cane grosso come una sedia con occhi bianchi come il latte mi fissava. Brandii il soffietto davanti a me con aria minacciosa. Il grosso cane si rimise in piedi e si scrollò di dosso i pezzi di vetro, quindi snudò i denti e saltò. Alle mie spalle qualcosa emerse in una nuvola di cenere e mi buttò in terra. Un lucertolone gigante era uscito dal camino balzando sul cane. Salvandomi. Presi il mio soffietto e mi rimisi in piedi. Corsi fuori dalla stanza, mentre quelle bestie erano ancora avvinghiate tra loro. Attraversai un corridoio zeppo di quadri fino a raggiungere una parete con finestra, devastata, mezza incendiata. Mi lanciai fuori.

E fuori era la follia. Villette, case di legno. Fuoco, cani rossi che correvano, uomini che sparavano, lucertoloni che saltavano. Grida, scoppi, calore. Tutto intorno un bosco fittissimo e verdissimo.

Ma dove madonna del signore sono finito, pensai.

E strinsi forte il soffietto.

Madre perdona mi vida loca…

Sembrerà strano ma…

Ecco mi trovavo in una grande palestra e non era un sogno, per quanto viva dentro uno di essi costantemente. Mi trovavo in una grande palestra che in realtà è un locale e vidi una ragazza che mi ricordava qualcuno.

Siccome questa città è piccola, la rincontrai, e iniziai a parlarci, mi raccontò che stava studiando qui a Lisbona. Poi notai che portava al collo una collana con una piccola conchiglia e lì per lì non ci pensai molto. La serata continuò, finimmo in altri locali, incontrammo altre persone e andai a dormire molto tardi come di consueto. Dormii molto, tante ore e sognai tanto. Mi svegliai con uno strano presentimento. Mi misi a cercare il portafoglio e a quel punto incontrai la lettera che mi aveva spedito mia madre. Ci sentivamo per posta più che altro e solo una volta al mese facevo una chiamata col telefono della padrona di casa a carico del destinatario. Perché era molto dispendioso chiaramente. Ed ecco che avevo la lettera tra le mani e mi venne un flash pauroso del sogno, avevo sognato mia madre che aveva al collo la stessa collana di quella ragazza. Però non ricordavo chiaramente se mia madre la avesse mai avuta o no. Ma dentro avevo la fortissima sensazione che l’immagine di mia madre con la collana fosse un ricordo e non frutto della mia mente. Mentre pensavo mi resi conto che la ragazza assomigliava vagamente a lei, era lei che mi ricordava, ma non nell’aspetto fisico, mia madre è bionda e lei era mora, ma in alcune movenze, non so di preciso, come si poneva nello spazio. E anche mia madre studiò qua a Lisbona. Ma diavolo, pensai, anche io sto studiando a Lisbona, non significa nulla.

Passarono i giorni e mi passò tutto di mente. Poi mentre parlavo con Alvaro di ragazze, venne fuori lei. Iniziò a raccontarmi cosa sapeva di lei, che stava qui da un anno ormai, studiava economia aziendale, e che sembrava molto simpatica. Ero sconvolto. Mi madre aveva studiato economia aziendale. Gli chiesi se la conosceva bene e se potesse dirmi un po’ che carattere avesse. Quello che descrisse sembrava sputato il ritratto di mia madre. Qualcosa di assurdo iniziò a delinearsi nella mia mente. Non è possibile mi dicevo, è frutto della mia immaginazione.

Poteva essere veramente mia madre?

Inizia a fare sogni sempre più strani, ma facevo fatica a ricordarmeli, quindi decisi di cercare di scrivermi tutto quello che potevo appena sveglio.

La ragazza intanto era come scomparsa, non riuscivo più incontrarla. E volevo con tutte le mie forze rivederla, dovevo saperne di più su di lei. Quindi iniziai a chiedere informazioni su di lei a chiunque dicesse di conoscerla. Tutte le notizie nuove che ricavavo si adattavano perfettamente al profilo di mia madre a quell’età. Più andavo avanti più saliva l’inquietudine. Iniziò a divenire quasi un’ossessione, ci pensavo continuamente e un pomeriggio mi misi a scrivere tutto ciò che avevo raccolto sulla ragazza e ciò che sapevo di mia madre. Tutto coincideva. Solo che… mia madre all’inizio del suo secondo anno aveva lasciato gli studi per tornarsene in Italia… e lì aveva conosciuto mio padre. Del motivo perché avesse lasciato tutto non ne avevo idea.

Questi pensieri mi assillavano e mi inquietavano, tanto più che continuavo a fare sogni strani, appuntandoli riuscivo a vederli chiaramente e ed erano sempre sogni che ritraevano me in situazioni passate, in Italia e a casa, con i miei amici, con la mia famiglia. Ma dentro una società strana, circondato da oggetti mai visti, quasi impossibili da descrivere.

Casualmente lessi un articolo scientifico riguardante le distorsioni del tempo. Alcuni scienziati avevano teorizzato che potessero aprirsi dei varchi temporali e che, attraverso un movimento fisico di regresso o avanzamento, si potesse essere trasportati rispettivamente nel passato o nel futuro. Questa teoria era stata elaborata in base ai racconti di alcune persone che asserivano di aver avuto questa esperienza. Il viaggio nel tempo pareva fosse avvenuto mentre prendevano un treno, una nave, o più spesso, un aereo. E dicevano che ovviamente non si rendevano conto di aver cambiato tempo, e nei loro ricordi tutto corrispondeva all’epoca in cui ci troviamo ora.

Ma avevano iniziato a fare sogni strani.

Alzai gli occhi dalla rivista con i capelli dritti. Corsi a vedere il calendario appeso in cucina, 1978. Ovvio, l’anno è questo, cazzo! Quando ho preso l’aereo per Lisbona due mesi fa era il 1978 ugualmente, non il duemila non so che, non è possibile… però io dal’ Italia ho fatto un viaggio all’indietro, quindi potrebbe essere… ma santo dio! Dietro rispetto a che?!

Sembrava impossibile ma il mio istinto prendeva a calci la ragione. Qualcosa dentro di me non mi faceva vivere tranquillo. Mi informai rispetto questi studi. Andai alla biblioteca dell’università e riuscì a trovare articoli più precisi in alcune pubblicazioni.

Parlavano di questi presunti viaggiatori del tempo. Erano molti e con le situazioni più disparate, però su alcuni punti tutti coincidevano perfettamente. Facevano frequentemente sogni di se stessi e del loro passato in una società estranea e mai vista. Affermavamo che fossero i loro veri ricordi della loro epoca originale. Inoltre erano convinti di essere giunti lì per compiere una missione. Addirittura si annotava di un tipo che affermava di aver impedito la seconda guerra mondiale! La seconda guerra mondiale, roba da libri di fantascienza di serie z…

Mentre tornavo a casa ero ormai certo di ciò che avevo intuito.

Il mio viaggio in aereo a Lisbona si era trovato in una distorsione spaziale, ed ora ero lì, a Lisbona, nello stesso anno in cui si trovava mi madre. Non ricordavo minimamente di provenire da un’altra epoca, ma i miei sogni mi stavano suggerendo che sì, venivo dal futuro. E la mia missione, ne ero certo, era far tornare mia madre in Italia, per far sì che incontrasse mio padre e, sopratutto, perché io nascessi. Per questo non ho mai saputo il motivo per cui mia madre era tornata in Italia. Il motivo lo creai io stesso e lo dovrò creare ora.

Mi addormentai felice e orgoglioso della mia missione.